
Viaggio alla scoperta delle varietà italiane
L’olivo è una delle più importanti specie di interesse agrario del bacino del Mediterraneo e tra le prime sei colture agrarie più importanti del mondo. La grande diffusione dell’olivo sul territorio nazionale dimostra l’importanza della coltura per l’ambiente, la produzione e la difesa del territorio. Il legame tra l’olivo, il territorio nazionale e la popolazione è antichissimo e dimostrato da testimonianze storiche che risalgono sin dal XIII secolo a.C.
La filiera olivicolo-olearia ricopre un ruolo di primo piano nel contesto del settore agroalimentare nazionale. L’Italia è seconda al mondo per produzione ed esportazioni di olio d’oliva e prima per consumo pro-capite. I risultati economici della filiera dipendono specialmente dalle performance del segmento industriale che contribuisce al 70% del fatturato, traendo vantaggio anche dalla capacità di valorizzare diversi prodotti e sottoprodotti, dalle olive da tavola alla sansa e i suoi lavorati. (Fonte: 2020 The European House – Ambrosetti).
La produzione di olive in molte regioni italiane, dunque, ha importanti risvolti economici: la grande varietà di olive locali, che danno origine ad altrettanti oli, molti dei quali rinomati e riconosciuti con certificazioni DOP, rappresenta un vero e proprio patrimonio sia per quanto riguarda la biodiversità botaniche sia a livello gastronomico.
Brevissima storia della produzione dell’olio in Italia
Le varietà presenti sul territorio, per gran parte, esistevano già al tempo degli antichi romani. Loro il merito di aver iniziato a selezionare e produrre olive diverse a seconda dell’uso. L’olio, infatti, non aveva solo destinazione alimentare: si usava anche per le lampade, la cosmetica e la medicina.
Nonostante a seguito delle invasioni barbariche la produzione dell’olio si sia drasticamente ridotta, progressivamente l’olio è tornato ad imporsi sul mercato della Penisola. Almeno fino al XVIII secolo quando l’avvento del mercato liberistico ha aumentato il valore dei profitti della sua vendita, facendo estendere di riflesso le aree coltivate ad ulivi. Tanto che, agli inizi del XIX secolo, moltissime regioni italiane hanno convertito coltivazioni fruttifere (ad esempio in Toscana sparirono i gelsi) in uliveti, spesso in associazione con viti e grano.
Dal Settecento in poi, infatti, l’olio d’oliva italiano si è diffuso in tutta Europa e i produttori si sono organizzati in associazioni simili a consorzi. Lo sviluppo del mercato olivicolo ha reso necessario distinguere in maniera netta i tipi di olio in base alle necessità. Ecco perché oggi parliamo di cultivar e varietà.
Quanti tipi di olive si coltivano in Italia?
In Italia si producono oltre 500 cultivar di olive, di cui una cinquantina DOP e IGP. Ognuna di queste è stata selezionata nel corso dei secoli in base a:
- vigoria della chioma, resistenza genetica alle malattie e alle avversità climatiche;
- resa produttiva e grandezza dei frutti;
- rapporto tra raccolto e resa in olio;
- facilità di estrazione del succo dalle olive;
- proprietà nutrizionali e organolettiche dell’olio.
A questo corredo genetico, nella selezione sono intervenuti anche fattori ambientali. In particolar modo si è tenuto conto dell’interazione che queste piante hanno con il terreno e il microclima che le ospita. Grazie a questo processo di selezione l’Italia conta oggi 538 le cultivar coltivate, pari al 40% di tutte quelle conosciute a livello globale: una ricchezza che non ha eguali al mondo.
Solo per avere un metro di paragone: la Spagna, prima in Europa per produzione (1,6 milioni di tonnellate di olio nella campagna di raccolta dello scorso anno), coltiva 138 varietà diverse di olive. La Grecia, con 265 mila tonnellate di olio nel 2020, solo 52.

Credit Foto: Olimonovarietali.it
Quanto incide la cultivar sulla qualità dell’olio?
Come abbiamo visto le caratteristiche che identificano le cultivar non riguardano solo la qualità dell’olio: così come nella selezione genetica si tiene conto di aspetti legati al clima e al terreno, nello stesso modo sono molti i fattori che determinano l’identità di un olio: primo fra tutti il grado di maturazione delle olive durante l’estrazione. Frutti troppo maturi, ad esempio, reggono male lo stress della raccolta e lo stoccaggio prima dell’estrazione in frantoio.
Determinanti anche lo stoccaggio e la filtrazione dell’olio: operazioni che preservano o meno le proprietà organolettiche e benefiche dell’olio grazie alla rimozione delle particelle di acqua vegetale e delle mucillagini della polpa d’oliva.
Ultimo, ma non in ordine di importanza, è poi l’intervento del frantoiano: che con la sua azione imprime un tratto netto sulla qualità dell’olio. Insomma considerando tutti questi fattori possiamo dire che la qualità della cultivar influisce per circa un 30% sulla produzione finale dell’olio.
Trend di settore: quali sono le cultivar più apprezzate?
Alla luce di quanto detto finora possiamo affermare che, a parità di standard produttivi e tecnologici, gli oli ottenuti da cultivar diverse comunque avranno caratteristiche nutrizionali e sensoriali uniche. Non a caso l’olio d’oliva caratterizza anche la tipicità di molti piatti regionali. Ma ci sono cultivar più apprezzate di altre nel mercato?
A livello mondiale il CIO (Consiglio oleicolo internazionale) ha stimato che l’85% della produzione di olio sia ricavata solo da 138 cultivar. Tra queste le olive spagnole Picual, che incidono per un terzo, ma anche le varietà italiane Leccino, Frantoio e Coratina con rese in olio tra il 20 e il 25%.
Per quanto riguarda il mercato italiano, invece, per il sud i primati vanno a Puglia e Sicilia che insieme producono oltre 324 mila tonnellate di olio l’anno, mentre la Toscana è la regione più produttiva del centro Italia, così come lo è il Veneto tra quelle del nord.
Le varietà più amate in Italia
Tra tutte le cultivar quelle che riscuotono particolare successo sono, sempre a livello nazionale, queste che riassumiamo in breve:
- Coratina, tipica delle province di Bari e Foggia con una resa del 25%. La più famosa delle ventuno cultivar pugliesi che descritto nel dettaglio in un precedente approfondimento.
- Taggiasca, originaria della Riviera di Ponente ligure, famosa per il suo sapore fruttato ha una resa in olio del 90%.
- Frantoio, la celebre oliva toscana coltivata nelle province di Lucca, Pisa e Pistoia. Ha una resa di circa il 23%.
- Canino, coltivata nell’area di Viterbo nonostante abbia una resa di circa il 17% vanta una produzione abbondante.
- Bianchera, autoctona del Friuli è una delle varietà con la più alta concentrazione di polifenoli.
- Ogliarola Barese (o Cima di Bitonto), coltivata tra la Puglia e la Basilicata ha una resa di oltre il 20%.
- Moraiola, diffusa in Toscana e Umbria è una delle cultivar dalle note più piccanti e marcate.
- Parenzana, oliva da mensa originaria dell’area settentrionale della provincia di Foggia, ha una resa bassa di olio, anche in acido oleico e polifenoli, ma la caratterizza uno spiccato sentore di mela e mandorla.
- Nocellara Etnea, sia da mensa che da olio è originaria dell’area catanese alle pendici dell’Etna, ha una resa in olio del 15%, è indicata per la moltiplicazione in vitro ed è alla base della produzione DOP di questa zona. Abbiamo parlato delle trentacinque cultivar siciliane in un altro articolo del nostro blog.
- Tonda, oliva da mensa tipica calabrese, originaria delle province di Crotone e Catanzaro, si presta bene alla concia in verde per il consumo diretto a tavola.